SCU 2024/25: i primi 5 mesi in Tanzania

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Sono passati 5 mesi dall’arrivo dei ragazzi del Servizio Civile Universale per il progetto “Bambini dalla strada alla formazione” per l’anno 2024/25. Abbiamo chiesto loro di condividere una piccola riflessione sulla loro esperienza. Di seguito riportiamo le testimonianze dei nostri civilisti, Andrea, Luca e Simona che sono ormai a metà strada della loro esperienza in Tanzania.

Andrea:

“Sono già passati 5 mesi dal nostro arrivo in Tanzania anche se sembra solo ieri che abbiamo varcato per la prima volta i cancelli di KISEDET.  È difficile scrivere queste righe perché non vorrei cadere nel banale e nei luoghi comuni, soprattutto perché sento di scrivere di una delle esperienze che, fin ora, sembra essere la più formativa e speciale. In più non amo molto scrivere sulla mia vita, perciò, spero di riuscire a trovare le parole giuste senza ingarbugliarmi più di tanto… I primi mesi a Dodoma, sono stati mesi di assestamento e scoperta, io mi sono impegnata ad osservare, e tutt’ora, nonostante il tempo che è passato, sento di non avere un quadro completo di quello che mi circonda. Quello che è chiaro dentro di me sono le sensazioni che provo ogni giorno, che sono sempre diverse e per molti versi nuove. Dodoma è veloce e in costante crescita, il traffico la rende viva e richiede presenza e concentrazione, invitandoti a non stare troppo immerso tra i tuoi pensieri. Chigongwe invece è molto diversa: giorno per giorno conosciamo i personaggi che animano e popolano il villaggio, i ritmi sono più lenti e, come ci si può aspettare da una piccola realtà, ispirano tutt’altre sensazioni. Nonostante la diversità delle due realtà, le giornate scorrono veloci, sembra che passino pochi istanti che già diventa sera. I giorni sono dinamici e c’è sempre qualcosa da fare. Sono arrivata in Tanzania senza una vera aspettativa, senza un preciso piano di quello che avrei voluto fare ed essere. Certo, ero pronta ad intraprendere le attività richieste dal progetto e a portare sempre con me i miei valori, ma oltre a questo, non ho mai voluto crearmi aspettative specifiche. Partivo con una valigia vuota che pian piano sto riempendo, selezionando con attenzione le cose che voglio portare con me. Per ora (e per fortuna) ho raccolto tante cose belle, ma anche cose difficili da indossare, le più preziose perché quando le metto in valigia portano con sé un sapore nuovo e di soddisfazione. 

Mi ha sempre rassicurata sapere che Kisedet è un’organizzazione gestita da tanzaniani che rispecchia una realtà sociale autentica ed autoctona, seppur l’ideatrice e co-fondatrice sia italiana. Il mondo della cooperazione internazionale, io credo, è fatta di tante contraddizioni, di tante cose che non necessariamente creano ponti e condivisione e che, spesso, se fatte in certi modi, contribuiscono ad alimentare dinamiche neocolonialiste e verticali, dove chi ha la moneta più forte, purtroppo, vince. Non avrei mai voluto far parte di una realtà che in qualche modo potesse contribuire ad alimentare pregiudizi e neocolonialismo. Credo fortemente nel nostro dovere di osservare attentamente dinamiche che, travestite da buonismo e carità, possono causare divisione e percezione dell’altro come qualcosa di strano ed estraneo, uno straniero.”

Luca:

“Per raccontare al meglio i miei primi mesi in Tanzania, voglio partire descrivendo lo spirito con cui ho lasciato l’Italia. Durante la formazione pre-partenza, ci è stato ripetuto più volte che affrontare questa esperienza senza aspettative fosse il modo migliore per viverla appieno.

E, in parte, ero convinto di riuscire a farlo: partire con la mente aperta, senza pregiudizi.

Tuttavia, ho però riconosciuto che è impossibile non costruirsi un’idea. Parlando con amici e parenti, prima di partire ho ricevuto molti commenti su cosa mi sarei dovuto aspettare, su come mi sarei trovato. Opinioni che, spesso, erano il riflesso di pregiudizi nati da chi ha la fortuna di vivere in un posto che crede migliore  più che di conoscenze reali. Ho scoperto così che per quanto ci si sforzi di non farsi condizionare, è stato inevitabile partire con delle aspettative, che siano proprie o frutto di idee di altri.

Arrivato poi in Tanzania con le mie tre compagne di viaggio siamo stati immersi appieno nella vita di Kisedet, iniziando a conoscere sempre meglio giorno dopo giorno il nostro ruolo all’interno dell’associazione, lo staff, i bambini dei centri. Il contatto diretto con la realtà dell’associazione e della città di Dodoma, mi ha aiutato a rivedere le idee che mi portavo dietro dall’italia ponendomi quotidianamente di fronte a esperienze sempre nuove, molte delle quali non le avrei mai immaginate.

Sin dai primi giorni della mia esperienza con Kisedet, ho capito che la lingua rappresentava il mio ostacolo più grande. La comunicazione con i bambini e con molti degli operatori si rivelava spesso complessa e, in alcune situazioni, addirittura frustrante.

In particolare nei primi giorni, mi sono sentito spesso come se fossi privo di voce e di udito, incapace di esprimermi e di comprendere appieno ciò che mi veniva detto. Questa difficoltà mi ha stimolato nel cercare di superare questa barriera che inizialmente credevo fosse solo linguistica ma che con il passare dei giorni ho capito fosse proprio culturale. Ho cercato di mettermi in un’ottica di completa umiltà, apprendendo nuove parole, osservando gesti ed espressioni, trovando modi alternativi per farmi capire capendo che la comunicazione non è fatta solo di parole ma passa attraverso la pazienza, l’ascolto e la volontà di entrare in contatto con una cultura che forse sotto certi aspetti non capirò mai fino in fondo.

Ad oggi, a metà della mia esperienza mi sento molto soddisfatto e molto fortunato di aver avuto la possibilità di partecipare a questa esperienza. Non mi sento arrivato ma sento di aver imparato molto, e, in questi prossimi 5 mesi, mi auguro ancora molte altre sfide per non vivere un’esperienza facile e superficiale ma continuare a vivere un’esperienza stimolante e ricca di novità.”

Simona:

Descrivere in maniera sintetica questi primi 5 mesi di Servizio civile in Tanzania è difficile ma é un esercizio che sento prezioso, per fermarmi  a fare un piccolo resoconto scritto e cogliere con lentezza alcuni dettagli di questa esperienza sfaccettata. Innanzitutto, ancora prima di arrivare a Dodoma, una parte importante é stata la scelta del progetto, i colloqui e la notizia di selezione: ero davvero felice, perché sapevo che potevo partire e conoscere una realtá di lavoro sociale professionale e interessante per la varietá delle attivitá implementate e con valori che condivido appieno.

Infatti KISEDET NGO promuove l’empowerment del territorio e delle persone con una prospettiva di cooperazione internazionale basata sulla consapevolezza delle dinamiche storiche e sulla reciprocitá, contro idee cliché sull’ “Africa” o di necessitá del “salvatore bianco” proveniente dai Paesi occidentali e l’abuso di immagini stereotipate,  in particolare dei bambini beneficiari dei servizi per le raccolte fondi, per preservare la loro privacy. Nel mio piccolo questa esperienza mi permette di conoscere una realtà geograficamente distante e caratterizzata da aspetti socio-culturali diversi da quelli a cui sono abituata ma al tempo stesso dalle stesse dinamiche umane e spazi di vicinanza.

Le sensazioni di questi mesi sono state tante, dalla gioia e la curiositá di vivere questa esperienza, all’insicurezza di non essere all’altezza e la paura di non riuscire a gestire a volte la stanchezza (positiva) data dalla moltitudine di stimoli e quindi bilanciare tutti gli aspetti del progetto. Una parola importante che puó descrivere tutto questo é sfida, nel continuare a costruire e scoprire il proprio percorso di vita grazie al confronto costante con nuove realtá e persone, e nel mettersi in gioco nei tempi di lavoro, nei tempi di socialitá e nei tempi interiori di “sosta”.

Un’altra parola é sicuramente gratitudine, perché sognavo tanto di poter svolgere un anno di Servizio civile universale all’estero in una realtà di lavoro arricchente e perché sento di avere tante basi di appoggio e attenzioni su cui posso contare per vivere bene qua. In conclusione questa esperienza mi fa riflettere sul mio ruolo privilegiato di persona che può viaggiare con relativa facilità all’interno di un programma ministeriale ed esplorare e cercare di conoscere, almeno un po’, un Paese lontano.”

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